
Sono piccina piccina, sa, sono piccola anche in confronto delle donne sarde che sono piccolissime, ma sono ardita e coraggiosa come un gigante e non temo le battaglie intellettuali.
Oggi, ma in realtà sempre, mi piace ricordare questa frase di Grazia Deledda. Mi trasmette energia e mi riempie di orgoglio. È stata l’unica italiana a vincere il Nobel per la letteratura, il 10 dicembre 1926. Nel suo romanzo più famoso, Canne al vento, ha saputo rendere universali sentimenti come il dolore, la fragilità dell’essere, il coraggio di trasgredire le regole.
Siamo canne e la sorte è il vento.
La sorte ci muove ma non ci spezza. E forse questo è il segreto: cedere al vento, assecondarlo ma fino a un certo punto. Ci attraversa e ci fa rabbrividire, ma nello stesso tempo ci fa scoprire quanta forza possediamo per resistergli.
Grazia Deledda è stata una piccola donna straordinaria. Aveva appena la quarta elementare, viveva in un luogo ai limiti del mondo, la Sardegna, l’isola santa a cui doveva tutto. La sua formazione è stata principalmente da autodidatta, anche se per un po’ ha avuto la guida di un precettore. Nel 1899 si è trasferita a Roma e un anno dopo si è sposata con Palmiro Madesani che decise di sostenere in pieno l’attività della moglie: abbandonò la carriera di funzionario pubblico per diventare il suo agente. Questo suscitò un atteggiamento polemico in Pirandello che nel romanzo Suo marito del 1911, sbeffeggiò proprio Malesani colpevole a suo avviso di essere un uomo che viveva all’ombra della moglie. Se vuoi approfondire, qui trovi un articolo con una chiave di lettura interessante sulla querelle scoppiata tra i due premi Nobel.
Quante cose è il vento! È sorvolare le critiche inutili, spaziare tra le pagine di un libro, lavorare a uno sguardo trasparente (una volta spazzate le nuvole), sfondare i pregiudizi, scuotere l’orgoglio, rompere il muro dei luoghi comuni, correre verso i nostri obiettivi.
Ho vissuto coi venti, coi boschi, colle montagne. Ho guardato per giorni, mesi ed anni il lento svolgersi delle nuvole sul cielo sardo. Ho mille e mille volte poggiato la testa ai tronchi degli alberi, alle pietre, alle rocce per ascoltare la voce delle foglie, ciò che dicevano gli uccelli, ciò che raccontava l’acqua corrente. Ho visto l’alba e il tramonto, il sorgere della luna nell’immensa solitudine delle montagne, ho ascoltato i canti, le musiche tradizionali e le fiabe e i discorsi del popolo. E così si è formata la mia arte, come una canzone, o un motivo che sgorga spontaneo dalle labbra di un poeta primitivo.
(Dal discorso in occasione della consegna del premio Nobel)
Quattro suggerimenti
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