
Sono volata a Pantelleria un sabato mattina di agosto, quando la calura estiva era generosa e soffocante. Sapevo che il nome di quest’isola ha un significato inequivocabile: figlia del vento. E così è veramente. I venti accarezzano le sue coste, battono le rocce nere e gonfiano le onde, a volte minacciose, altre morbide e accoglienti.
Un pomeriggio, seduta al tavolino di un bar sopra gli scogli, ho sentito una turista che ne parlava così: non è un’isola facile. E mi ha fatto pensare che non lo è davvero. Non si fa bella per te, non ti accoglie in modo gioviale, non ti offre comodità. Sei tu a scoprire con fatica la sua bellezza, a conquistare gli scorci migliori e l’acqua cristallina, solo dopo aver sudato e maledetto il sole che brucia le ossa o avere sofferto il mal di mare in barca. Sei tu a sforzarti di comprenderla senza interrogarla, ma calcando le orme di antichi abitanti a partire dall’età del Bronzo, assaporando uva zibibbo e capperi, di cui sono piene le sue vallate interne.
Non è un’isola facile, ma è irresistibile, ricca di storie. Forse ispirò Omero quando narrò di Ogigia, l’isola abitata da Calipso. Nel suo cuore si trova un lago di acqua dolce con fanghi termali: lo Specchio di Venere, anch’esso protagonista del mito. È particolare rispetto ad altre isole perché basa la sua economia sull’agricoltura più che sulla pesca.
Pantelleria è un luogo pieno di sorprese: non esistono serpenti velenosi, le acque salate convivono con quelle dolci, le acque sulfuree si alternano alle minerali, le acque calde comunicano con il mare. Il suo è un paesaggio che aumenta il potere dell’immaginazione, complice il vento che cambia più volte durante il giorno e a seconda della costa. Fa cambiare idea almeno tre volte.
Pantelleria è una perla nera che spunta nel cuore del Mediterraneo, l’ombelico del mare per Omero, a 70 km dalla Tunisia (lo smartphone te lo fa notare con un bel “Benvenuto in Tunisia, puoi chiamare l’Italia per 3 euro al minuto!). Ovunque ti volti la roccia lavica ti osserva e ti ascolta. Alcuni promontori hanno assunto sembianze animali, oppure sono i nostri occhi a essere ingannati? Un elefante che beve dal mare, un cammello che scruta l’orizzonte. Le cicale lì non esistono, dove saranno andate?
Tutto è possibile in quel luogo magico che manda segnali da decriptare, che suscita un senso di soggezione e cautela, ma anche di sconfinamento e apertura.
Ho visitato un dammuso, tipica costruzione pantesca. Si tratta di una casa, perfettamente integrata nel territorio, con muri fatti di pietre nere e il tetto a cupole dipinto di bianco che serve a raccogliere l’acqua piovana e a guardare le stelle.
I venti panteschi sono forieri di cambiamento: sono diverse le persone (soprattutto donne) che hanno abbandonato comodità e socialità per vivere sull’isola in modo sostenibile e in una forma di simbiosi e rispetto con il paesaggio e i suoi abitanti.
Erri De Luca nel suo libricino “L’isola è una conchiglia” parla della sua isola, Ischia, di lei dice che gli ha esaudito la bellezza. Forse è così per tutte le isole: rispondono in modo esaustivo alla ricerca di bellezza, che poi è libertà da ogni orpello superfluo, vitalità e felice compromesso con la natura. E pienezza, poiché contiene tutto ciò che occorre all’anima.

L’isola ha una sua poetica, una sua ragion d’essere. Sono andata alla ricerca dei suoi valori fondanti e ne ho trovati alcuni che riassumo in un piccolissimo elenco:
- l’isolamento che diventa creatività,
- il sentimento dell’ignoto,
- il respiro dell’attesa,
- la fiducia in quel che si può,
- il silenzio,
- la forza dei colori,
- la nostalgia
- il vento delle cose che cambiano.
Ti saluto con tre contenuti dilettevoli
- Una citazione su cui riflettere: “L’isola è maestra, chi non ne ama una è destinato a perdersi di notte senza un lume” (Erri De Luca).
- Un libro attraverso il quale salire sull’isola di Pantelleria, in punta di piedi: “Il vento ce lo disse – donne nell’isola” di Lucia Bisi.
- Un video da gustare in cui un cantautore Palermitano racconta di un luogo storico, la Vuccirìa, per immergersi nella musicalità della parlata sicula.