maschere, metamorfosi, fedeli a se stessi, coraggio di cambiare

 

Sai da cosa deriva la parola Carnevale? Dal latino carnem levare: cambiare pelle. E infatti quel giorno diventa occasione per fingere di essere un altro, giocare con l’identità, trasformarsi. Il motivo per cui ci si veste a Carnevale è legato alla tradizione cristiana della purificazione, ma anche a quella pagana: il travestimento è un gesto superstizioso che tiene lontani gli spiriti maligni; in più, dopo le proverbiali scorpacciate di dolci, ci si purifica e ci si trasforma. O almeno si dovrebbe.

Da piccola mi piaceva travestirmi: cercavo costumi originali, mi divertiva fingere di essere qualcosa o qualcuno diverso da me, almeno per un giorno. Un’amica di mia madre era bravissima a truccarmi e a trovare gli abbinamenti perfetti. Mi piaceva tutto questo, anche quando la preparazione richiedeva tempo. Questa tradizione l’ho amata a lungo, fino a quando, dopo un’ interruzione di qualche anno, con la scusa di avere dei piccoli da vestire, l’ho ripresa molto volentieri.

Il tema della maschera è magico e affascinante; sicuramente è sinonimo di evasione, ma fa anche riflettere, perché ci aiuta a focalizzarci su di noi che, con un pizzico di ironia, sperimentiamo il cambiamento, seppure temporaneo.

Giochiamo a far finta che, ci trasformiamo e siamo altro per un po’!

Forse mascherarsi non è un gioco, ma è tipico della natura umana. Lo dice Pirandello che ha fatto della maschera una filosofia:

Ciascuno si racconcia la maschera come può – la maschera esteriore. Perché dentro poi c’è l’altra, che spesso non s’accorda con quella di fuori. E niente è vero! Vero il mare, sì, vera la montagna; vero il sasso; vero un filo d’erba; ma l’uomo? Sempre mascherato, senza volerlo, senza saperlo. (L’umorismo)

Siamo davvero sempre mascherati anche senza saperlo? Allora conviene stare al gioco. A me piace chiamarlo spirito di adattamento o apertura mentale. Se la maschera diventa elasticità di giudizio e di approccio alle situazioni, allora è un pregio.

A proposito di cambiamento, nelle Metamorfosi di Ovidio si parla di Pigmalione, l’abile scultore di Cipro che, incapace di trovare una donna degna del proprio amore (anche perché in realtà lui ama alla follia Venere, ma non può essere ricambiato), decide di modellare una statua che incarni il proprio ideale di donna e di cui si innamora. Venere, mossa a compassione, trasforma la statua in una donna in carne e ossa: Galatea.

Conosci l’effetto Pigmalione? Si verifica quando “la profezia si autorealizza”: in pratica il nostro giudizio su una persona la influenza a tal punto che diventa proprio così come l’abbiamo pensata. Accade anche a scuola tra insegnante e alunno, se ti interessa è spiegato qui. È vero, a volte abbiamo il potere di influenzare tantissimo qualcuno incasellandolo in un ruolo che non gli appartiene. E questa trasformazione non è affatto positiva.

Eppure questo gioco del trasformarsi e del ridisegnarsi a volte è molto utile, sia nel lavoro che nella vita quotidiana. Per esempio, la cosa più brutta è rimanere incastrati in un ruolo che la società ci disegna, oppure essere bravissimi in un lavoro che odiamo e restarne prigionieri, o ancora non sentirci liberi di decidere per paura del giudizio degli altri.

Ci vuole coraggio e capacità di adattamento nell’indossare una o tante maschere che non implicano necessariamente falsità. Si tratta piuttosto di poliedricità. Perché se ci pensi bene, non restiamo mai uguali: ciò che conta è essere fedeli a se stessi anche nel cambiamento, assecondarlo proprio per non snaturarci.

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