giornata mondiale degli insegnanti, insegnare che fatica, scuola che passione, insegnamento tra lavoro e missione, docenti, didattica, il mestiere di insegnante

Oggi, 5 ottobre, è la Giornata mondiale degli Insegnanti. E la mia riflessione arriva di sera, a festa finita. Non è che non volessi scriverne, ma ho preso tempo perché ho pensato molto a chi questa giornata non se la merita. Ci sono insegnanti di ogni tipo perché prima di tutto siamo umani, siamo imperfetti. E così ce ne sono di frustrati, entusiasti, demotivati, metodici e organizzati, empatici oppure performanti, insicuri, disordinati. Ci sono anche insegnanti furbi e disonesti, che approfittano del loro ruolo e della loro autorità. Ce ne sono di pessimi sotto ogni punto di vista, di quelli che hanno proprio sbagliato lavoro, per i quali non c’è margine di miglioramento. Questa giornata non dovrebbe essere per questi. Dovrebbe essere la giornata degli insegnanti che ce la mettono tutta. Ecco.

Insegnare è un atto di Resistenza, non è un posticino tranquillo. Durante la lezione si genera un evento vitale di grande portata, un momento di condivisione, dibattito e crescita, anche in ambiti che non riguardano contenuti prettamente didattici. Insegnare è mettersi in gioco, metterci faccia-cuore-voce, provare ad essere di ispirazione.

Concordo, sì, con chi dice che è pur sempre un lavoro, e che considerarlo come una missione lo svuota del suo valore (anche pecuniario), come se chi insegna dovesse necessariamente mettere da parte ogni velleità di guadagno. Ma non è questo il punto: oggi vorrei concentrarmi su altro.

Nell’aula si fa la cultura, ci si allena allo stupore (quello tutto galileiano per intenderci), si educa alla bellezza. Io me lo ricordo ogni volta che faccio fatica, che qualcunə si addormenta perché nel weekend ha lavorato, oppure è stancə perché si è svegliatə alle cinque per venire a scuola. O ancora perché certi argomenti alla lunga fanno perdere la concentrazione e magari non si comprende o non si trattiene tutto ciò che viene detto. E a volte la lezione esce male rispetto a quanto avevamo previsto, oppure prende una strada inaspettata, o il tempo scorre rimproverando qualcuno e ricordando le regole per l’ennesima volta.

Fatica e bellezza, un binomio complesso, una lezione che la scuola ogni insegnante dovrebbe impartire mettendoci tutto sé stesso. In questa Giornata e in questo periodo di incertezze (perché si sa quando cambia un governo, cambia un ministro e si ricomincia da capo) mi piace ricordare il privilegio e l’onere che noi insegnanti abbiamo scelto di assumere: attraversare una molteplicità di argomenti e situazioni, essere esperti di tutto un po’: sapere, empatia, autorevolezza, educazione. Possiamo decidere se guidare i nostri ragazzi sulla superficie delle cose oppure andare al fondo, domandare o dare risposte, coltivare il dubbio o fornire opinioni.

Qualsiasi cosa scegliamo di fare a seconda del contesto, è certo che abbiamo un grande potere e quindi una grande responsabilità (Spiderman insegna). Altro che posto fisso e stop.

Ti lascio con una citazione confortante e poi un piccolo elenco di libri interessanti, per chi insegna oppure no e infine una parola che abbiamo imparato oggi in classe.

«Solo dopo aver conosciuto la superficie delle cose ci si può spingere a cercare quel che c’è sotto. Ma la superficie delle cose è inesauribile» (Palomar, Italo Calvino)

  • Minuti scritti di Annamaria Testa. (per scrivere, ragionare meglio, osservare e inventare)
  • L’arte di insegnare, di Isabella Milani (per avere consigli su problemi pratici di insegnamento e gestione della classe)
  • Talento ribelle di Francesca Gino (per coltivare una ribellione costruttiva nel lavoro e nella vita)
  • Happy teachers change the world di Thich Nhat Hanh e Katherine Weare (un manuale di attività per allenare la consapevolezza).
La parola è prosaico che in senso figurato significa meschino, volgare, banale. Tutte condizioni che vogliamo e possiamo combattere. Andando a scuola.

(photo by m_ming on Pixabay.com)