ragazza con giacca rossa e cappello grigio ampio e calato sulla testa che appoggia i gomiti su una macchina da scrivere più grande di lei. Con sguardo furbo guarda la parola scritta sul foglio che esce dalla macchina da scrivere. La parola è change e la lettera "e" prosegue allungandosi fino a formare il volo di una farfalla che sembra disegnata sul foglio e scappata via.

A scuola si studia che nei romanzi esistono personaggi statici e personaggi dinamici. Statici sono coloro che rimangono uguali a sé stessi sempre e nonostante tutto. Dinamici sono quelli che si trasformano e modificano i loro pensieri e il loro modo di reagire agli eventi, ma anche di interpretarli.

Questa differenza mi ha sempre incuriosita: di volta in volta mi chiedevo, leggendo una storia, chi fosse il mio personaggio preferito, quello statico o quello dinamico? E soprattutto, come faceva a non cambiare mai il primo? Quali tormenti viveva il secondo? Nel secondo caso, c’era chi cambiava di solito in meglio, assumeva consapevolezza e coraggio. Nel primo, c’era chi restava sempre sé stesso e si bastava così com’era.

Nella realtà troviamo qualcosa di simile: persone che negli anni si distinguono per rispondere allo stesso modo a tutto ciò che accade, con uguale temperamento, medesimi occhi per vedere le cose (in certi momenti ho invidiato queste persone). Altre, invece, si evolvono, cambiano idea, cambiano sguardo.

Cosa significa restare se stessi? Si tratta di una condizione di coerenza granitica, e perciò statica, oppure è un processo di cambiamento e di adattamento continuo? Chi cambia idea e sceglie qualcosa di diverso rispetto a quanto aveva deciso in precedenza, perde e/o rinnega sé stesso? Sono domande aperte, in bilico tra romanzo e realtà.

Vediamo alcuni esempi dalla letteratura. Emma Woodhouse resta ferma nelle sue convinzioni fino alla fine del romanzo di Jane Austen; Mina Harker è una figura di supporto che non evolve all’interno del romanzo Dracula. Jane Eyre cresce alla ricerca della sua identità e della sua felicità, Katniss Everdeen in Hunger games, diventa una leader forte e determinata, cambiando nel corso della sua lotta per la giustizia.

Il personaggio statico, anche in modo inconsapevole, mette in risalto i cambiamenti di quello dinamico (che, diciamocelo, nelle storie che leggiamo, è per natura più interessante e il più delle volte è protagonista). Talvolta finisce per assumere il ruolo di giudice nei confronti degli altri lasciando passare il messaggio che il cambiamento sia mancanza di coerenza e motivo di rottura di un equilibrio. Il personaggio statico sa di esserlo, vive placidamente la sua esistenza, può vantarsi della propria stabilità emotiva e della sua coerenza. Il mondo cambia mentre lui resta uguale e gode di questo. Non comprende l’ansia e la tensione dell’essere dinamico, trova che sprechi energie e vita. D’altro canto, può capitare che per resistere al cambiamento e salvare il proprio ruolo nella storia, il personaggio statico si inventi una realtà tutta sua, racconti a sé e agli altri un’altra storia, oppure che finga che non sia successo niente.

A questo punto, sento di potermi sbilanciare: la mia preferenza va alla dinamicità del carattere di un personaggio, proprio in quanto rappresenta il cambiamento e la fatica di diventare, nonostante tutto. Cose tanto inevitabili quanto necessarie. Evolvere comporta l’abbandono di una parte di sé e l’accettazione di un pezzetto nuovo e sconosciuto. Comporta scelte e rinunce. Conquista e perdita.

Ed è così che tra romanzo e realtà, non so più se ci sia un confine.

Si potrebbe stilare una piccola lista a supporto dei personaggi dinamici, nei romanzi e nella vita:

  • Autenticità nel rispondere agli eventi
  • Intrigo per la vita interessante che faticosamente si costruisce
  • Empatia di chi impara dai propri errori e comprende il disagio altrui
  • Profondità del carattere e delle emozioni
  • Risonanza perché lascia un segno e, suo malgrado, spinge a parlare di sé.

(nella foto, un mio collage)