Amo viaggiare e riempire gli occhi di curiosità e ispirazione, di quegli spunti che salvano. Così, per fortuna, in questo periodo ho ricordi bellissimi che mi alleggeriscono il cuore. Viaggiare con la fantasia e con i libri è ancora concesso, quindi non faccio altro, per il momento.
Un libro mi stava chiamando da un po’, per farmi fare un viaggio onirico.
Mi sono convinta di un fatto: è arrivato il momento di parlarti di un libro, e ti spiego perché. Ultimamente, per motivi e in circostanze diversi, mi sono ritrovata a pensarci.
Mentre preparavo una lezione da inviare ai miei alunni, mi sono imbattuta in un piccolo volume grigio e oro della mia libreria: Le città invisibili di Italo Calvino. Copertina stropicciata, pagine dalle orecchie sparse qua e là, qualche riga sottolineata: questo è il destino dei libri che amo di più.
Qualche mese fa, ho frequentato un corso di aggiornamento presso Scuola Holden a Torino: nel mio gruppo di lavoro avevamo dovuto inventare il nome e la storia di una città, partendo proprio dalle immagini a cui Calvino stesso si era ispirato per il suo libro.
Qualche giorno fa, durante la lezione numero 7 della rubrica Diamo una “lezione” al virus, Alessandro D’Avenia parlava di uno dei maestri che lo hanno ispirato, don Pino Puglisi e accennava a Calvino perché proprio da una frase delle città invisibili è scaturito il titolo del romanzo Ciò che inferno non è.
Le città invisibili che Calvino inventa sono cinquantacinque, raggruppate in undici temi: è un viaggio immaginario che Marco Polo fa e racconta al Gran Khan, passando in rassegna ciascuno dei luoghi che ha visitato. Quello che ho scelto per i ragazzi è Leonia, ma oggi la mia attenzione va alla pagina finale del libro, quando Marco Polo risponde al Gran Khan che gli ha appena elencato le città peggiori presenti nel suo atlante, città che si trovano addirittura negli incubi e nelle maledizioni. Il Gran Khan è sconsolato, pensa che sia tutto inutile – la vita, il viaggio – se l’ultimo approdo è comunque l’inferno.
Marco Polo risponde che l’inferno non è l’approdo, ma è qui e ora e noi possiamo scegliere di non soffrirne, in due modi: accettandolo e diventandone parte, oppure cercando con coraggio ciò che, in mezzo all’inferno, non è inferno. E una volta trovato, dargli spazio e farlo durare.
Il secondo è più rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui.
Ecco due cose importanti che dovremmo ricordare a noi stessi: stiamo attenti e aperti al mondo, per cogliere il bello e tutto ciò che non è inferno, perché a volte si nasconde bene, altre invece è proprio sotto il nostro naso e, chissà perché, non lo notiamo.
Ti racconto due cose piccole, prima di lasciarti: una) in questi giorni vado io al supermercato a fare la spesa per i miei che non escono ormai da tre settimane e ho preso l’abitudine di nascondere nel sacchetto una piccola sorpresa, un extra che non era nella lista. due) Ho piantato semi di basilico e nasturzio in tanti vasetti in giardino e come una bambina aspetto che spunti qualcosa.
E tu, come stai? Raccontami di te!
(photo by Ciprian Boiciuc on Unsplash)
Visto che condividiamo la passione per i libri, spero che questo post ti dia degli spunti per le tue letture future: https://wwayne.wordpress.com/2011/01/31/big-in-japan/. Conoscevi già gli autori in questione?
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Sì, li conosco, ma non bene. Ho letto solo Kitchen, un milione di anni fa… la cultura giapponese da una parte mi affascina, dall’altra mi inquieta, non so perché. Quello che dici è molto vero, vale anche per il cinema (caspita mi hai fatto venire in mente il film Sogni di Kurosawa!). Immediatezza, poesia, purezza dell’immagine. Grazie 🥰
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Kitchen è il libro più famoso della Yoshimoto, ma non il più bello: il suo capolavoro l’ha scritto molti anni dopo, e si intitola Honeymoon. Colgo l’occasione per dirti che mi sono appena iscritto al tuo blog. Grazie a te per la risposta! 🙂
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Lo cerco subito! Grazie per la dritta 😊
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Felicissima di avere scoperto il tuo blog, cara Chiara, e la tua grande anima!
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Grazie, è la cosa più bella che potessi leggere! 🦋
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