Per due mesi ho cercato il vestito e le scarpe adatti ad un evento a cui avrei dovuto prendere parte. Poi è saltato tutto e la mia ricerca ha perso significato, ma soprattutto sono rimasta con una manciata di delusione e una montagna di fastidio.
Mi ero impegnata fin troppo molto per rendere tutto perfetto, dagli abbinamenti di colore e stile, a come comportarmi, a cosa dire. Trovandomi improvvisamente senza quell’obiettivo, mi sono sentita spiazzata. La cosa buffa ancora più fastidiosa è che pure lo scorso anno, nello stesso periodo, mi era capitata una cosa simile: pianifichi, organizzi, ti prepari psicologicamente e poi salta tutto. Invece di attivare gli “anticorpi”, l’arrabbiatura è raddoppiata, poiché il ricordo della delusione precedente bruciava ancora.
Può sembrare un episodio di poco conto, ma io lo so perché me la sono presa tanto: quando una cosa sfugge al mio controllo, e non sono io a deciderlo, ma le circostanze lo fanno per me, la mia corazza di certezze si scioglie.
Che fare? Come usare tutto questo a mio favore? Ho dovuto prima smaltire la delusione, ma alla fine mi sono detta: il vestito e le scarpe mi servivano davvero? Ci volevo andare veramente? Valeva la pena spendere tante energie per quella cosa?
No.
Al massimo mi serve un trattamento benessere antistress e anti-delusione. Oppure potrei progettare un piccolo giardino zen tutto mio, dove rimettere in ordine le emozioni, scacciare il fastidio e recuperare l’equilibrio. Un piano B. Oh, magari, mentre mi arrovello per una soluzione, scopro qualcosa di inaspettato, qualcosa che non c’entra nulla ma che mi rende più soddisfatta di prima, come è capitato a certi scienziati! Si chiama serendipità.
Non basta avere anticorpi a quello che succede e imporsi di affrontarlo con pacatezza: ogni volta si prova qualcosa di nuovo e non facilmente definibile. La corazza che crediamo di avere, non ci protegge mai abbastanza. Dobbiamo ricostruirla, aggiungere un pezzetto, o smontarla e rifarla da capo. Che poi si potrebbe anche stare senza e smettere di avere tutto sotto controllo, ma a quello sto ancora lavorando.
Conosci il Paguro Bernardo? Un piccolo granchietto che non sa costruirsi il suo guscio, ma va ad occupare quelli abbandonati dagli altri. Non uccide gli animali che abitano in conchiglie per appropriarsene, ricicla quel che trova, ne è felice. E cambia spesso casa, ogni volta che gli sta stretta. Una sorta di spirito di adattamento, a costo zero! E infine trascorre il suo tempo migliore spostando sassi, proprio come farò io nel mio giardino zen.
Per ora l’unica cosa che mi viene da fare è sfogare ancora un pochino la mia rabbia, mentre cerco su Amazon un giardino zen: chissà, magari imparo ad arredare e preparare al meglio anche il mio giardino interiore. Non mi vengono altre soluzioni.
In attesa che qualcuno mi illumini, condivido una bellissima parola giapponese che ho scoperto nel libro Lost in translation (ed. Marcos y Marcos, di Ella Frances Sanders, tradotto da Ilaria Piperno):
Komorebi: La luce del sole che filtra tra le foglie degli alberi. Per un attimo può accecare, ma è senza dubbio bellissima. C’è qualcosa di straordinariamente suggestivo e magicamente unico nella luce del sole che filtra attraverso il verde delle foglie.
(photo by Hans Vivek on Unsplash)